martedì 29 ottobre 2013

Il ritorno del figlio Ken... - Intervista a Giancarlo Berardi su Il Secolo XIX

Dall'edizione odierna del giornale Il Secolo XIX apprendiamo alcune succosissime news sul Ken Parker che sarà, rilasciate da Giancarlo Berardi...

Giancarlo Berardi, davvero Ken tornerà libero?
Sì, ha finalmente scontato la sua pena. Credo sia l’unico “italiano” che l’ha fatto davvero».

Nella nostra vita sono passati quindici anni. E in quella di Ken?
«Ken si è sempre sviluppato cronologicamente. Dunque lo ritroveremo a sessant’anni».

Come mai questa scelta? Non poteva riprendere da dove era rimasto?
«È una scelta coerente con la mia produzione. Ken è il mio alter ego, ha sempre avuto la mia età. Attraverso di lui guardavo me stesso, con i miei limiti, le mie utopie. Era una cassa di risonanza di quello che facevo o avrei voluto fare. Non aveva senso riprenderlo quarantenne».

Quindi lo troveremo cambiato. Fisicamente e psicologicamente...
«Di sicuro avrà qualche acciacco in più, come lo ho io, come lo ha Ivo (Milazzo, ndr). Magari sarà meno avventuroso, ma quello è un aspetto che mi interessa relativamente, a me interessa di più indagare i sentimenti, la crescita umana. Psicologicamente Ken non sarà più quello di prima, dopo vent’anni di galera. Anche se devo ancora capire quanta amarezza gli è rimasta dentro».

Dovrete fare anche degli aggiustamenti storici. E grafici...
«Certo, ora siamo ai primi del Novecento, anzi penso che la prima storia possa cominciare proprio con i festeggiamenti per il Capodanno del 1900. Ci saranno poi anche le prime automobili, e cambieranno i vestiti».

E i personaggi? Rivedremo qualche vecchio amico?
«Sì, ci sarà il figlio di Ken, Teddy, ormai uomo. E rivedremo Pat O’ Shane. Non ho ancora deciso le trame, non lo faccio mai prima. Parto da una sensazione e vedo dove mi porta, improvviso. Dopo quaranta anni di attività sto molto attento a non annoiarmi».

Avremo meno West e più città, come nelle ultime storie?
«Il West ci sarà. Credo che dopo venti anni di prigione Ken abbia bisogno di spazi, di praterie, di cielo. Ma anche di vedere gente, quindi di stare in città. Alternerà le due cose».

Non è stato troppo duro, a lasciarlo in prigione così tanto?
«Allora non sapevo quanto ci sarebbe rimasto. Poi il mio lavoro ha preso altre direzioni e il tempo è passato. Ammetto che adesso sono emozionato, è come ritrovare un figlio partito all’estero come emigrante o appunto finito in prigione. Prove che toccano a tante famiglie».
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...vi rimando all'intervista completa contenuta nel giornale ligure.

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